Europa League, il ritratto di una finale
L’atto conclusivo, in qualsiasi competizione o livello, restituisce sempre due lati della stessa medaglia. Uno sconfitto che mestamente guarda verso il basso e un vincitore che indirizza i suoi occhi verso una destinazione simile ad un paradiso momentaneo. Ed è esattamente il caso di Manchester United e Tottenham, che hanno dato vita ad una delle finali di Europa League più controverse di sempre. Due giganti d’argilla consumati e provati da una stagione che gli ha restituito solo ganci e spallate molto decise.
Tottenham: tutti i dati di una vittoria ai limiti del paradossale
Un eterno limbo tra il tracollo e l’euforia. Alla fine, a prevalere è quella sensazione inebriante che solo una vittoria del genere ti lascia addosso. Quella del Tottenham è la conquista di un trofeo che parla di bassifondi come nessuno nella storia. Si tratta infatti della squadra vincitrice con il piazzamento in campionato peggiore di sempre. I diciassettesimi della Premier League sul secondo tetto più importante d’Europa, a guardare tutti dall’alto in basso. L’ennesimo segnale di un’Europa League paradossale, che regala anche la sesta presenza nella prossima Champions League al campionato inglese.
Una coppa che cancella dalla sceneggiatura del film del campionato quella parte amara dovuta al concetto di fallimento. Finale che però non nasconde i limiti spaventosi di una squadra fin troppo umorale: anche contro lo United infatti, si intravedono le crepe nell’interpretazione di un blocco basso che non è mai appartenuto all’indole di questo gruppo. E così, nella ripresa cala inesorabilmente il tono atletico: il Tottenham sbanda terribilmente e viene tenuto sopra il livello del mare da un Vicario che nonostante molte incertezze in uscita, imprime a fuoco il suo marchio con due parate top class.
Un trionfo anche nel segno di Postecoglu, profetico con la sua citazione: “Al mio secondo anno vinco sempre un trofeo”. Detto, fatto. Vittoria costruita andando totalmente in controtendenza con il resto dell’annata: propensione al sacrificio, cura maniacale del dettaglio e un’energia quasi debordante. Elementi che permettono all’allenatore “Aussie” di tornare ad associarsi con fierezza al soprannome “Big Angie”. E’ inoltre il quarto successo stagionale su altrettanti scontro diretti contro i “Red Devils”, squadra con la quale il tecnico ha un feeling particolarmente buono: bilancio da imbattutto, con l’85% di vittorie a fronte di 5 successi e 1 pareggio nei 6 confronti diretti.

Ange Postecoglu (LaPresse)
Manchester United-Amorim: siamo già ai titoli di coda?
L’autogol che decide la finale è la fotografia che rappresenta fedelmente la stagione dello United, in tutti i suoi toni grotteschi, spesso goffi.
Brennan Johnson taglia in orizzontale l’area, depistando i radar difensivi e sbucando d’avanti a Shaw. Il movimento produce un adeguamento dei blocchi in totale emergenza, con il terzino che nel tentativo di stringere sul primo palo la tocca con il braccio e infila Onana. E il camerunese condisce ulteriormente il tutto, aggiungendo una nota tragicomica come quel tentativo di schermare il gesto tecnico autolesionista del compagno.

Onana dopo il gol subìto in finale di Europa League (LaPresse)
“Sei di un’altro e adesso che si fa?”. Francesco Renga indirizzava questi versi ad una donna, il Manchester li dedica all’Europa League e dà a queste parole un peso quasi struggente. Lo smarrimento è senza dubbio la sensazione che racconta meglio il futuro che si staglia all’orizzonte per lo United. Una stagione che doveva essere della costruzione ha invece raso al suolo gli ultimi appigli in un progetto che sta crollando dalle fondamenta. Dal prossimo anno quindi dovrà necessariamente arrivare una rifondazione totale, che non esclude potenzialmente nessuna valutazione, su tutti i livelli.
A cominciare dalla guida del progetto tecnico, Ruben Amorim. Il portoghese, nel momento della massima espressione del suo calcio allo Sporting, decide di optare per una sterzata improvvisa di carriera. Scelta al momento non supportata dal verdetto del campo: dal giorno del suo arrivo, 26 partite in Premier League con una media punti di 0.92; l’inquadratura in campo largo sulla stagione è leggermente meno disastrosa, ma ci restituisce comunque un bilancio di 41 incontri e di 1,37 punti per match disputato. Statistiche che prestano il fianco alle critiche e diventano ulteriormente spaventose se affiancate all’ostracizzato Erik Ten Hag: l’olandese ha uno spettro più ampio di partite all’ombra dell’Old Trafford (128) ma ha ottenuto 1,84 punti per partita giocata.

Amorim Manchester United (Lapresse)
Arriviamo alla fatidica domanda: l’avventura di Amorim a Manchester è già ai titoli di coda? Forse no. A salvare il tecnico dalla tagliola dei Red Devils potrebbero essere gli impulsi dati nelle notti europee: la rimonta furibonda ed esaltante contro il Lione, ma anche la dimostrazione di forza contro il Bilbao, regolato sia all’andata che al ritorno con uno 0-3 e un 4-1 che non hanno lasciato spazio ad interpretazioni. Segnali flebili, che però al momento risultano essere l’unico punto di riferimento per una barca che naviga a vista, lasciandosi trasportare dal corso degli eventi e non avendo quasi mai la forza per influenzarli.
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