Conference League, alla fine la spuntano i blues
Ovviamente sarà il risultato a fagocitare le attenzioni dell’immaginario collettivo: la finale di Conference League però, va oltre quell’1-4 in favore del Chelsea. Si tratta del primo trofeo da allenatore di Maresca (tolta la Championship dello scorso anno), contro un redivivo come Pellegrini che con il suo Betis è riuscito ad entrare nella testa di uno dei colossi del calcio europeo, sfiorando un’impresa titanica.
Chelsea, “italians do it better”
La tradizione della nostra penisola si fonde alla cultura “blues”
Quella nostrana sta diventando la seconda lingua ufficiale per le strade di Londra, in particolare nel quartiere tagliato dalla metro blu: da South Kensington ad Earls Court, sono tutti pazzi per l’ennesimo allenatore che arriva dallo stivale. Enzo Maresca, un nome, un cognome e una storia tutta racchiusa in una personalità che, al suo primo anno al Chelsea, ha scritto pagine importanti. È lui l’innesco e l’origine di tutto, senza mezze misure e senza mai scendere a patti con nessuno. L’ennesimo tecnico italiano alla conquista del calcio inglese e del Chelsea: prendendo in prestito una formula del gergo videoludico, i londinesi hanno platinato tutti i trofei dello sport più bello del mondo.

Roberto Di Matteo ai tempi del Chelsea (LaPresse)
Champions, Europa e Conference League, tutti colorati di tricolore. Poi Coppa delle Coppe e Supercoppa, anch’essi tinti di azzurro con Gianluca Vialli. Infine, il Mondiale per Club per raggiungere un clamoroso 6 su 6 nel rapporto tra trofei europei e trofei messi in bacheca. Nel ventunesimo secolo, Di Matteo e Conte hanno tracciato la strada, Sarri si è consacrato ai blues, infine Maresca ha riaperto un ciclo con tanto potenziale. Insomma, il binomio Italia-Chelsea è incontenibile.
Maresca come sigillo di garanzia
Successo che, come già anticipato, è marchiato a fuoco dall’impronta di un allenatore sontuoso. In primis, ha messo ordine in una massa caotica di circa 43 calciatori, tagliandone alcuni e accompagnandone altri alla porta. Alleggerito il gruppo squadra, Maresca gli ha anche dato una forma, un’ideale da seguire, dei principi calcistici e uno spessore anche atletico. In questo modo, con l’aggiunta di qualche altro tassello, quel motore che stentava a raggiungere le marce alte oggi viaggia sempre ad alte frequenze. E’ una personalissima masterclass nella gestione, quella dell’ex assistente di Guardiola al City: bravo a catalizzare l’attenzione mediatica, trasferendola su di sé e sganciandola dai suoi giocatori; infine, ottimo nell’amministrare quei piccoli sbandamenti figli di uno scheletro di squadra comunque giovanissimo.

Enzo Maresca dopo la vittoria della Conference League (LaPresse)
In questo modo, la barra rimane sempre dritta e lo sguardo è sempre proiettato sul vero obiettivo: poco importa se il Chelsea si trova a -5 dal primo posto del Liverpool a novembre, men che meno se si presenta una flessione negativa tra dicembre e febbraio (3 pareggi e 5 sconfitte negli 11 impegni di Premier League, a cui va aggiunta l’uscita dall’Fa Cup). Il focus è la Champions League, e con il gioco tornano gradualmente i filotti di vittorie; tanto che il finale di stagione è quasi folgorante, con 8 successi su 9 incontri di cui 5 fondamentali in campionato. In sostanza, nessuno lo aveva visto arrivare, ma come direbbe lo stesso tecnico: “Purtroppo per loro, si sbagliavano tutti. Quindi, in inglese, come si dice? Vaf*****lo a tutti loro“.
Betis, il trionfo di un’idea
Dedicare un pensiero agli sconfitti, qualsiasi sia il valore e il livello dell’evento a cui ci riferiamo, è sempre molto complicato. Nel caso del Real Betis Balompié, ci limitiamo a constatare un K.O., ma non ci fermiamo alla superficie. La squadra, trascinata da febbraio da Antony, spesso da quel genio di Isco, in altre occasioni da protagonisti inattesi, ha firmato il suo personale capolavoro centrando la finale affidandosi al proprio modo di pensare.
Abde, nella cavalcata verso la notte di Breslavia, è stato il segnale onesto del Betis: graffio all’andata con la Fiorentina, altro timbro al ritorno e acuto anche in finale, quello che stappa il match; 3 gol di un’importanza capitale. L’indicatore della temperatura della squadra, come certifica proprio la partita di ieri: Betis a tratti prepotente, che vive sicuramente di strappi e accelerazioni. D’improvviso, all’uscita dal campo dell’ex Barcellona, il motore che fino a quel momento sprigionava una potenza inarrivabile per il Chelsea, si inceppa. Fuori fase anche l’altro cavallo di razza, Antony, che si è presentato all’appuntamento di Gran Gala con il vestito stropicciato.

Antony Santos (LaPresse)
In ogni caso, è da onorare il percorso che ha portato gli andalusi a centimetri dal traguardo, ad un solo gradino dalla vetta più alta. A pochi passi da un appuntamento con la storia solo ridimensionato nella sostanza, perché la forma dimostra come i biancoverdi abbiano vinto la propria personale partita. Puntando sui propri ideali, non negoziandoli con niente e riconoscendo nei valori tecnici di un leader come Isco la propria fonte primaria di gioco. Intorno a lui, un gruppo fondato sull’aggressione sul portatore di palla, sulla ricerca della porta e sul baricentro sempre proiettato in avanti. Basi solide, su cui poter costruire qualcosa di interessante.
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