Una trama del genere avrebbe fatto comodo anche ad Omero. Inter-Barcellona è stata un’Odissea, sia all’andata, sia al ritorno. L’estasi al 45‘ col doppio vantaggio firmato Lautaro-Calhanoglu, poi il blackout nella ripresa, l’ennesima rimonta stagionale del Barcellona e il colpo del ko di Raphinha.
Silenzio. Dolore. Il destino, ancora una volta, sembra scritto. Ma questa Inter è un pugile che non sa stare al tappeto. Si rialza. Con la rabbia, con la fede, con l’anima. Acerbi come un gladiatore, pareggia nel momento più impensabile.
E poi Frattesi, che sbuca dal nulla, spacca il cielo, firma la leggenda. Una serata che già alla vigilia trasudava epicità, si trasforma in un capitolo immortale della storia nerazzurra. La finale è conquistata. Dall’inferno di Istanbul alla promessa di Monaco, la soglia del paradiso è lì per essere varcata.
Sommer, l’uomo che ha fermato Yamal
“La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no, e allora si perde”. (tratto dal film Matchpoint, 2005).
Fortuna e bravura hanno assistito Yann Sommer nel momento più difficile del match contro il Barcellona. Il portiere elvetico è stato tra i protagonisti indiscussi della notte di San Siro: l’uomo che ha fermato Lamine Yamal e non solo. Sul 2-1 sputa fuori dalla porta un gol praticamente fatto di Eric Garcia, negando al classe 2001 la doppietta personale alla Scala del Calcio. Una parata che ritarda soltanto di qualche minuto la rete del pari di Olmo.

Sommer e Yamal, Inter-Barcellona (Lapresse)
Da lì in poi inizia un duello a distanza con Lamine Yamal. Tre parate e un palo che creeranno quell’effetto sliding doors su cui poi il match è girato in favore dell’Inter. Minuto 76, Yamal alla sua maniera si libera dei propri marcatori e scaraventa un sinistro violento, destinato all’incrocio dei pali: la ragnatela resta intatta perchè Superman ci arriva prima e devia in angolo.
Nel recupero sul 3-2 per i blaugrana (per la cronaca aveva respinto anche il primo tiro di Raphinha) Yamal sfiora il poker, colpendo il palo con un’altra conclusione delle sue da fuori area e sul ribaltamento di fronte l’Inter trova il pari con Acerbi. Eppure gli attimi conclusivi dei regolamentari regalano un’ulteriore opportunità alla squadra di Flick, che capita nuovamente sui piedi del bambino prodigio: i sogni di gloria del diciasettenne, come quelli di Kolo Muani nella finale Mondiale tra Argentina e Francia, si fermano sui guantoni di Sommer (in Qatar fu Martinez ad abbassare la saracinesca).
Nell’extra-time va in scena il capitolo conclusivo del duello Yamal-Sommer, il primo in un nanosecondo lascia sul posto Carlos Augusto e apre il sinistro, il pallone prende una traiettoria strana ed esce. Sommer ha preso anche questa, serviva un replay per accorgersene, impensabile dal vivo, una conclusione destinata a spegnere la sua corsa in fondo al sacco e invece diventa la parata che suggella la qualificazione dell’Inter in finale di Champions League.
Acerbi, Bastoni e Carota
Se il portiere è mezza squadra, è il caso di dire che a volte il miglior attacco è la difesa. Se una squadra difende bene, mal che vada pareggia, ma non perde.
Nella doppia sfida contro il Barcellona, il reparto arretrato dell’Inter si è elevato al rango di leggenda. Già protagonista di una fase a girone unico praticamente impeccabile – con una sola rete subita – e capace di imbrigliare anche il temibile Bayern Monaco nei quarti di finale, la difesa nerazzurra ha dato un’ulteriore dimostrazione di forza, compattezza e spirito epico.
Arrivato per appena 4 milioni di euro, doveva essere una riserva, Francesco Acerbi è diventato un intoccabile per Simone Inzaghi, scalzando De Vrij dal ruolo di titolare e prendendosi la scena con personalità. Negli anni si è conquistato il soprannome di ammazza-giganti, un titolo che ha confermato quest’anno grazie alle ottime performance offerte contro i vari Haaland, Kane e anche Lewandowski che non si è praticamente mai visto nei supplementari. Non aveva ancora segnato in stagione, non poteva scegliere momento migliore per sbloccarsi.
Accanto a lui, il cuore pulsante della retroguardia interista: Alessandro Bastoni, il signore della difesa nerazzurra. Bastoni incarna la vera essenza del difensore moderno: preciso, puntuale, sempre sul pezzo. “Per battere un avversario bisogna prima rispettarlo” – questo sembra il mantra che guida ogni suo intervento. E se Lamine Yamal si è dimostrato ancora una volta imprendibile, Bastoni e compagni hanno saputo limitarlo con raddoppi, letture intelligenti e, quando necessario, qualche fallo tattico.
Prima, durante e dopo la corrida, Bastoni si è distinto anche per sportività. Sia all’andata, sia al ritorno diversi frame virali mostrano l’ex Atalanta che aiuta gli avversari a rialzarsi, scambia gesti di rispetto con Lewandowski e proprio con Yamal. Una sana rivalità sportiva, vissuta con grinta ma anche con onore.

Alessandro Bastoni, Inter (Lapresse)
Denzel, The Equalizer Dumfries
Se Acerbi ha messo a segno la rete che ha permesso all’Inter di allungare la sfida ai supplementari, nell’economia del doppio confronto Denzel Dumfries è stato il giocatore più determinante.
L’esterno olandese ha messo lo zampino in cinque delle sette reti nerazzurre segnate ai blaugrana: una doppietta e un assist all’andata, due assist al ritorno. Ma non solo: il suo contributo è stato fondamentale anche in fase di non possesso, specialmente nella notte magica di San Siro, quando Bisseck ha iniziato ad accusare i primi segnali di cedimento.

Denzel Dumfries (Lapresse)
Un rendimento da applausi che gli è valso un soprannome evocativo: “The Equalizer” — proprio come l’omonimo sequel con Denzel Washington, con cui Dumfries condivide non solo il nome, ma anche qualcosa nel portamento e nell’intensità. E se è vero che nella pellicola cinematografica la traduzione esatta di “Equalizer” è vendicatore, “equilibratore” è più calzante per descrivere l’impatto in campo dell’ex Psv, degno quanto meno di una candidatura agli Oscar proprio come l’attore hollywoodiano che di statuette d’oro ne ha già due in bacheca.
Un’assenza pesante per Inzaghi, rientrato nel momento chiave della stagione per permettere a Darmian di tirare il fiato, dopo un ciclo di partite logorante per un classe ’89. E così, quella attuale si sta rivelando la sua miglior stagione da quando veste la maglia nerazzurra.
Lautaro, El Toro non si mata
In una corrida solitamente è sempre il matador ad aver la meglio sul Toro, a meno che il toro in questione non sia Lautaro Martinez.
Non doveva neanche giocare dopo l’infortunio muscolare agli adduttori. Ha confessato di aver pianto in compagnia della sua amata e dei suoi figli, ma ha promesso a se stesso che sarebbe stato in campo da vero capitano per guidare i suoi nella notte più importante della stagione. E così è stato.

Lautaro Martinez, Inter – Lapresse
Come col Bayern, così col Barcellona. Gol del vantaggio e rigore procurato, poi quella fascia stretta che gli ha permesso di stringere i denti non ha più retto, almeno fino al gol di Frattesi. È stato il primo a correre verso l’ex Sassuolo per festeggiare il gol di qualificazione: gli occhi spiritati, il testa contro testa del Re nei confronti del suo fedele scudiero. Leadership, appartenenza, fiuto del gol, sono 22 in stagione, addirittura nove in Champions, dove non si era mai spinto oltre le cinque marcature. Nel caso in cui l‘Inter dovesse mettere le mani sulla Champions League, il Pallone d’oro potrebbe diventare un sogno realizzabile per l’argentino.
I cambi sorridono ad Inzaghi
E questa volta hanno risposto presente anche le secondo linee. Non c’era Pavard, ma Bisseck, finché ha retto fisicamente, ha fatto pienamente la sua parte. Quando anche i due “mostri sacri” del centrocampo — Çalhanoğlu e Mkhitaryan — avevano esaurito le energie, ci hanno pensato Zielinski e Frattesi a restituire freschezza e dinamismo alla manovra nerazzurra.
Ma la nota più lieta della serata è arrivata con l’ingresso in campo di Mehdi Taremi: nella notte in cui il mito è diventato leggenda, l’attaccante iraniano è riuscito a far breccia nel cuore dei tifosi nerazzurri, quegli stessi che in passato non gli avevano risparmiato critiche. La sua redenzione si è compiuta con l’appoggio decisivo a Frattesi che ha mandato San Siro in visibilio.

Davide Frattesi, Inter – Lapresse
I cambi hanno funzionato e hanno supportato Inzaghi nel momento più delicato della sfida:
non esistono titolari, esiste un gruppo, un insieme di uomini che lotta e si sacrifica, ognuno pronto a immolarsi per il compagno, come ha fatto De Vrij nel finale su Araujo. Menzione d’onore per l’olandese: pochi minuti in campo, ma tanto spessore, lucidità ed esperienza al servizio della squadra.
Sicuramente dopo il gol di Raphinha a Simone Inzaghi gli sarà passata davanti agli occhi tutta la stagione. Il sogno Triplete, l’incubo degli zero titoli, invece è in corsa per la vittoria finale in Champions League e si giocherà le chance scudetto residue nelle ultime tre curve del Gran Premio di Serie A. Comunque andrà a finire, una cosa è certa: ha costruito un giocattolo bellissimo che funziona.

Flick e Simone Inzaghi, Inter-Barcellona – Lapresse
Dall’altra parte, Flick è sulla buona strada, ma i cambi non hanno offerto il supporto sperato. Lewandowski non era al meglio, e si è visto. Se è per questo, Lautaro e Thuram nemmeno, eppure. Al condottiero teutonico va il merito di aver rimesso in carreggiata il Barcellona, dopo anni di anonimato oltre i confini iberici, ma si può sempre migliorare.
Frattesi, riserva di lusso
E a proposito di seconde linee, se può essere davvero definito tale, è stata la notte di Davide Frattesi. Uscito dalla panchina per scrivere il suo nome nella storia nerazzurra. Ancora una volta sul tabellino dei marcatori, come all’Allianz Arena contro il Bayern Monaco e grazie a lui l’Inter in Baviera ci ritornerà per conquistare la gloria e vendicare la delusione di Istanbul di due anni fa.
Frattesi sta all’Inter come Santiago Munez sta al Real Madrid nel film Goal: riserva di lusso.
Sembrava destinato a lasciare Milano a gennaio per ritornare nella sua “Roma”, alla ricerca di una maglia da titolare con la squadra del suo cuore, vicino alla sua famiglia. Un’ipotesi concreta che però si è scontrata con le richieste economiche della dirigenza che ha alzato il muro nei confronti dei giallorossi e del Napoli, principale rivale nella corsa scudetto. “Conto su di lui, è dentro al progetto Inter”, aveva ribadito Simone Inzaghi che se lo coccola anche dopo il gol-qualificazione contro il Barcellona: “È sceso in campo senza fare la rifinitura ed è stato determinante”.
Psg o Arsenal in finale?
Psg o Arsenal, chi sfiderà l’Inter a Monaco di Baviera il prossimo 31 maggio? Dopo l’1-0 dell’Emirates, firmato Dembelè, la squadra di Luis Enrique è favorita rispetto all’Arsenal, ma nulla è scritto. Sulla carta la formazione parigini ricorda un po’ il Barcellona, recentemente eliminato dai nerazzurri: grande estro offensivo, ma con qualche falla nel reparto arretrato, nonostante a difendere i pali della porta transalpini ci sia il nostro Gigi Donnarumma, protagonista contro i Gunners all’andata e nei turni precedenti contro Liverpool e Aston Villa.

Luis Enrique (LaPresse)
Il pericolo principale, nel caso in cui dovessero essere i Campioni di Francia a raggiungere la Beneamata sul suolo tedesco, è il condottiero di Kvaratskhelia e compagni. Per Luis Enrique sarebbe la seconda finale di Champions League in carriera, dopo quella del 2015 alla guida del Barcellona, vinta contro la Juventus (3-1), neanche a farlo apposta in Germania, all’Olympiastadion di Berlino. Cambia in questo caso l’impianto sportivo, ma l’esperienza resta tale: l’ex Roma sa come si fa e proverà a regalare il primo trionfo in Coppa Campioni ai parigini, che tornerebbero nell’atto conclusivo della competizione a distanza di cinque anni.
Per l’Arsenal sarebbe la seconda finale della storia, dopo quella del 2006, persa a Parigi contro il Barcellona. La Francia toglie, la Francia potrebbe restituire e cambiare il destino dei Gunners che non mettono in bacheca un trofeo di spessore dal 2004, anno dell’ultimo titolo di Premier League conquistato. Quella di Arteta è una squadra che come l’Inter, ha mostrato maggiore equilibrio nelle due fasi, in questa edizione della Champions League.

Inter-Arsenal 1-0, prima fase della Champions League 2024-2025 (Lapresse)
I nerazzurri a livello individuale hanno sicuramente qualcosa in più e inoltre, hanno già sconfitto l’Arsenal nella prima fase (vittoria di misura grazie ad un penalty di Calhanoglu). Non fu una partita memorabile, molto bloccata tatticamente, in cui il reparto avanzato dell’Arsenal non riuscì mai ad impensierire realmente Yann Sommer, merito anche della solida organizzazione della truppa di Inzaghi.
Continua a leggere le notizie di OA Calcio e segui la nostra pagina Facebook

Giuseppe gelardi
7 Maggio 2025 at 18:36
Come al solito con questo articolo ha messo in risalto i punti salienti dell’incontro con dovuta maestria ,dimostrando anche una cultura storica oltre che sportiva un grande plauso